Benvenuto nello show business

Atlanta Airport

Atlanta Airport di Old Shoe Woman da Flickr – Creative Commons

– Allora, cosa la porta oltreoceano?

Il mio vicino di posto sul 747 per Atlanta è un americano di Pittsburg. Deve essere un frequent flyer, uno di quei viaggiatori abituati a volare un giorno sì e uno no.
Anche Tom, il mio ospite, è uno di loro. Una volta mi ha detto che il suo programma di accumulo punti-miglia aveva raggiunto l’ammontare necessario per un’andata e ritorno omaggio sul prossimo volo per Marte.

Cosa mi porta oltreoceano?
– Il mio primo insuccesso mondiale.
Una sfumatura d’imbarazzo increspa il suo sorriso di circostanza.

Il fatto è che le ultime vicissitudini hanno fatto della mia vita una cosa difficile da spiegare. Per questo di solito evito l’argomento. Ma il frequent flyer ha un’aria simpatica, e stare seduto a undicimila metri d’altezza per nove ore è il genere d’attività che induce al bilancio. Una buona occasione per fare due conti.

– Due anni fa ho firmato un contratto discografico con una multinazionale. Fabrizio, piacere.
– Steven, piacere mio. E la sua casa discografica è in America?
– Non è più in nessun luogo. L’hanno smantellata.
– Capisco.

Beato lei. Ma non lo dico, invece chiamo la hostess. Prima di partire ho chiesto a Tom un consiglio per ingannare la noia del volo intercontinentale. – Beviti due gin tonic – ha detto. – In quota picchiano molto più che a terra. Due gin tonic e sei fuori come un cocco.
Mr Steven non fa una piega, mentre mi scolo i suddetti praticamente ancora in fase di decollo. Ormai abbiamo iniziato a parlare. Mi è venuta voglia di raccontargli tutta la storia, sono sicuro che appena i siluri alcolici raggiungeranno il mio cervello sarò in grado di sfornare chiacchiere da traversata all’altezza del suo punteggio, in linea con gli standard delle moderne compagnie aeree.

– Vede, studiavo legge. Stavo finendo l’università – come si dice in inglese “fuori corso”? Pazienza. – Ma volevo suonare. Sa, fare dischi, concerti… Per la maggior parte rimane un sogno nel cassetto. Ma ho avuto fortuna. Fatto sta che a ventisei anni firmo questo contratto per quattro dischi, e mi danno un sacco di soldi per registrare il primo. Era la mia grande occasione, ha presente? Così l’ho registrato e ho iniziato a fare davvero il musicista, andavo in radio, in televisione, giravo videoclip.
– Veramente? Dev’essere divertente girare un video.
– Sì, molto divertente.
Arrivano i siluri.

Nulla è più noioso che girare videoclip: una menata spaventosa. Il mio primo video, realizzato allo scopo di mostrare a chissà chi la sana e robusta costituzione dell’artista, riaffiora nella memoria per alcuni secondi: per un budget sconosciuto ma infinitamente basso, il prodotto mostra me stesso in stanza vuota, con sfondo fumoso. Tre ore a fare finta di cantare con occhio fisso alla telecamera. Fra una pausa e l’altra, mentre sudo per il caldo delle luci, il produttore mastica la gomma e mi dice – Sforzati d’essere naturale. – Spero sia andato distrutto.
Il mio secondo e ultimo video: questa volta, grazie all’entusiasmo di chissà chi, provvisti di un budget di media grandezza, mi rinchiudono in una villa sulle alture di Firenze. Quattro giorni a girare tre minuti di me stesso da ogni possibile angolazione, mentre vago per le stanze, pazzo d’amore e visibilmente truccato. La scena finale m’inquadra di spalle mentre corro al rallentatore verso l’orizzonte. L’edificio illustre ma fatiscente è sprovvisto di riscaldamento: un mese di bronchite. Fortuna che non c’erano scene a torso nudo.

– Dopo un paio di apparizioni televisive, mi squilla il cellulare. Era la faccia più nota della televisione. Pensavo fosse uno scherzo, ma era lei. Dice che mi ha visto, che le piace la mia canzone, che devo essere suo ospite. Il programma faceva in media undici milioni di persone. Il giorno dopo la gente mi salutava per la strada.
– E qui è diventato famoso.
– No. Perché vede, non c’è stato un seguito… Quelli della casa discografica non avevano stampato abbastanza dischi. Ce n’erano pochi in giro. La gente non riusciva neanche a trovarli. Sa cosa diceva il mio editore? “Se perdi, dopo una settimana ti dimenticano. Dopo due, se vinci.”
– Che peccato. Ma perché non hanno insistito? Visto l’investimento iniziale, dovevano battere il ferro finché era caldo.
– Lo so. Ma i discografici ragionano a modo loro… Non sono individui logici. Bisogna entrare nella loro mentalità. Pensavo di presentarmi nel loro ufficio armato di mazza da baseball e spaccare la testa a tutti. Sa, non è facile avere un colpo di fortuna come quello.
– Ci credo bene. Ma perché non li avete denunciati? – Gli americani hanno grande fiducia negli avvocati.
– Perché dopo è successa un’altra cosa strana: uno dei loro manager ha portato il mio disco ad un meeting mondiale, e se n’è tornato dicendo che l’intero Sud America voleva pubblicarlo. Così ho dovuto registrarlo di nuovo in spagnolo e sono partito per l’America latina. Argentina, Uruguay, Venezuela… Lì davvero ho cominciato a montarmi la testa.
– E laggiù è andata meglio?
– Direi di sì. La mia canzone era trasmessa in undici paesi. In alcuni ero in testa alle classifiche. Giravo in limousine, le ragazze mi regalavano i pupazzetti.
– Hmm… Immagino si sarà divertito.

L’episodio “torma di donne in Sud America” è, nella storia del mio primo insuccesso, la parte di gran lunga preferita dai maschi.
Altre immagini. Argentina. Finalmente seduto sul cesso, dopo una giornata estenuante, mentre un giornalista al telefono mi intervista in spagnolo. Quaranta adolescenti fuori da una Radio a Montevideo, immagino stiano lì ad aspettare qualche artista famoso. Scendo dalla macchina e mi corrono incontro urlando. Una notte a Buenos Aires spalanco la finestra della camera faraonica all’ultimo piano dell’Hilton: la città a perdita d’occhio, milioni di persone di cui non so nulla. – Ce l’ho fatta – penso. – Sono una rockstar. – A Rosario subito fuori dal centro siamo fermi ad un semaforo: baracche di lamiera e un uomo che si aggira fra le macchine vendendo un pezzo di pane. – Ottimo con il mate – dice. Chiedo al mio accompagnatore: – Ma qui la gente mangia pane e mate? – Lui risponde: – Sì, ma non tutti. Solo quelli fortunati. – Come esco dall’aeroporto di Caracas i vestiti mi si appiccicano addosso. Più tardi, in un altro Hilton uguale al precedente, do un’occhiata alla criminalità di successo. C’è un night dentro l’albergo e qualche avventore dalla fronte bassa ha sotto la giacca il segno della pistola. Nelle vicinanze della mia camera qualcuno scopa, una donna piange. Scendo in giardino e sento le cicale, ammorbanti come sirene.

– Ma allora perché parlare di insuccesso mondiale?
– Perché quando sono tornato la multinazionale per cui lavoravo è stata fagocitata da un’altra. Questi hanno mandato a casa un mucchio d’esordienti, e me con loro. Non avevo venduto abbastanza.
– Così da un giorno all’altro?
– Certo. In linea con i tempi della new economy. Ma c’è un altro particolare che rende tutto ancora più assurdo: un anno prima di cacciarmi, mi hanno mandato ad un meeting fra autori, una cosa molto chic, in Inghilterra. In sostanza la casa discografica sceglieva dodici autori, e li mandava a vivere da nababbi in un castello perso nelle colline del Devonshire per una settimana.
– Come in un giallo di Agatha Christie. E vi pugnalavate a vicenda…
– Più o meno. Si doveva scrivere una canzone al giorno. Il posto era davvero incantevole, una bella esperienza. Insomma, a questo meeting conosco un autore americano, di Nashville. Scriviamo un paio di canzoni assieme e lui mi invita negli Stati Uniti, ed eccomi qua.
– Be’, allora se non ho capito male è un viaggio di lavoro e di piacere.
– Non poteva essere più preciso.

4 risposte a “Benvenuto nello show business

  1. Che storia…alla fine hai vissuto un sogno!quasi nessuno ci riesce al giorno d’oggi!
    anche se è finito (per come lo intendevi tu) ora che ti importa? hai un sacco di esperienza in più, hai visto posti e gente stupenda, e poi, sei su colorado!!

    comunque tutto questo per farti i complimenti di svegli come te in tv se ne vedono gran pochi.

    è piacevole leggerti oltre che vederti in tv.hai talento. tanta tanta fortuna per il futuro e spero che tu riesca a incidere o pubblicare qualcosa presto!!

  2. un bellissimo primo capitolo.
    i due singoli che citi qui quali sono tra quelle di myspace?

  3. Ciao Fabrizio, mi sono incuriosito, visto che stamattina, venerdi’, durante il viaggio in treno e metropolitana mentre mi recavo mestamente al lavoro, ascoltavo il tuo CD “Italia – Brasile solo andata”… divertente, ovvio.
    E suoni bene la chitarra.
    Tra l’altro io suono la chitarra e sono mancino come te!!!
    Ma allora, si puo’ leggere tutto il tuo libro oppure no?
    Sarebbe sfizioso, magari leggendolo di venerdi’… magari andando mestamente al lavoro in treno e metropolitana.
    Ciao!!!
    Alex

  4. belin che figgeu sfigou … nu ghe c iu religiun

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